2.3.07

La crisi di governo. A bocce ferme

Marco D'Acri
Meglio aspettare, meglio capire qualcosa in più. Mi sono detto questo prima di scrivere qualsiasi cosa su quello che abbiamo passato in questi giorni e sulle fosche nubi che ormai si sono addensate sulla coalizione che ho votato insieme alla maggioranza degli Italiani nello scorso aprile. Ma ora, con tutto più chiaro (forse) si può abbozzare qualche considerazione.
Voglio partire da Romano Prodi e dal suo discorso al Senato. Ho avuto l’impressione di ascoltare un discorso spento, senza alcun afflato ideale, senza la forza che un momento come quello richiedeva. Persino una vena di imbarazzo nella necessità di parlare con linguaggi diversi, adatti di volta in volta a questo e a quel partito di maggioranza. Non si è trattato solo di stanchezza o mancanza di coraggio politico. In fondo Prodi ha dimostrato più volte di non avere quei difetti. Una sola sensazione sembra rispondere in pieno a quello sguardo del Professore, delusione.
Lo ha comunicato più volte, da quando ha parlato di paese impazzito a quando si è trovato costretto a salire al Quirinale, vittima di una maggioranza in grado di collassare su quella politica estera, così ben guidata da D’Alema dopo gli anni dell’interim del gaffeur da Arcore. Deluso da una maggioranza non in grado di rispettare il risultato forte delle primarie, quello di dare credibilità al mandato di un politico, non segretario di partito. In quel giorno si era detto che Prodi sarebbe stato guida senza essere espressione di partito, così da essere indipendente. E invece si è trovato nella stanza dei ricatti, senza possibilità di difendersi, senza il controricatto dei voti.
Deluso da forze che quelle primarie se le sono dimenticate troppo in fretta togliendo ogni legittimità al Presidente del Consiglio. Deluso da politici incoerenti pronti a tirarlo da questa e da quella parte distogliendolo dagli obiettivi di lungo periodo necessari per il Paese.
Mi viene da pensare che Prodi ieri, in cuor suo, avrebbe voluto essere a casa, nella sua famiglia, lasciando nelle mani degli artefici il disastro realizzato. Ha provato a porre 12 punti e il giorno dopo Giordano, segretario di Rifondazione, ha detto che i punti erano accettati ma il metodo no. Frasi del tipo sì alla TAV, no al tunnel, sì alla riforma delle pensioni, no all’innalzamento dell’età pensionabile. Bravi, avrà pensato Prodi, complimenti, equilibristi dell’eloquio, incoerenti nelle loro stesse dichiarazioni, bravi incapaci di governo, così bene rappresentati dalle parodie di Guzzanti. Avrà poi sentito la dichiarazione di Russo Spena che si è definito ragionevole perché vuole la luna, espressione forse poetica ma foriera di nuovi scontri. E Prodi lì ad ascoltare, al centro di un Parlamento non in grado di sentire le esigenze dei cittadini e pronto a fare distinguo persino nel momento di rilancio della maggioranza. Ad ascoltare e a guardare un gruppo di persone che su una zattera malferma, invece di aiutare il timoniere, fanno di tutto perché l’equilibrio si sposti verso loro e per conquistare più spazi. Forse avrà anche ricordato con una certa malinconia gli anni di Bruxelles, rovinati soprattutto da quelle visite del Presidente del Consiglio, che forse non ci è ancora bastato, che tra i kapò e le corna regalate a destra e a manca, realizzava la sua politica estera vicina a Putin e a Bush.
Poi, in serata, la fiducia, risicata, e la consapevolezza di avere ancora molto da fare. Con una buona notizia, il Pil all’1,9 per cento, un risultato che non vedevamo da anni. Con qualche speranza in più per noi ragazzi e per il nostro futuro.
E oggi, subito dopo il voto, Grillini, Luxuria e i suoi hanno indetto una manifestazione sui PACS per il 10 marzo. Ma bravi, ottimi strateghi, mi sembra un buon momento per manifestare per le unioni civili. E lo dice un liberale come me, solo perché crede che i risultati si ottengano anche con un’adeguata strategia. Mi sembra che la piazza come metodo non funzioni o almeno in questi giorni non ha funzionato.
La crisi non è affatto alle spalle, tutti fanno i conti alla rovescia. Per primi quelli che già sanno di finire all’opposizione, dove certamente si troveranno bene, perché arroganti nelle decisioni di governo, incapaci di mediarle con i criteri della democrazia, convinti di avere sempre ragione. Sarà forse uno sfogo, ma è già la seconda volta. Nel 1998 Bertinotti, oggi Turigliatto e Rossi. Non se ne può uscire. Ci sono persone molto più brave a distruggere che a costruire e questo sarà per sempre il loro limite.
Ieri Prodi sorrideva, con tutta la maggioranza a complimentarsi. Chissà se Prodi era davvero felice o se in fondo era rassegnato a nuove tribulazioni. Comunque andrà Prodi quelle primarie le vinse, Turigliatto neanche si candidò. Eppure il potere di ricatto del secondo ha vinto. Questa è la lealtà.