Quindici anni
Marco D'Acri
Quindici anni fa, era il 17 febbraio 1992, a Milano un pool di giudici arrestò un uomo, Mario Chiesa, che Bettino Craxi definì un mariuolo. Mariuolo, truffatore, approfittatore, comunque uno, solo, battitore libero. Quell'uomo, che guadagnava 2 milioni e mezzo di lire, ne versava tre milioni alla moglie in assegni di mantenimento, qualcosa non quadrava.
Nel tempo quei giudici scrupolosi iniziarono a notare che non era solo Mario Chiesa, ma era pedina di un sistema che aveva reso l'amministrazione socialista del capoluogo lombardo un luogo di affari e di corruzione tra imprese e settore pubblico. Milano in quel momento era specchio dell'Italia alla quale era legatissima da un punto di vista politico. L'Italia con quel processo, con quelle indagini, scoprì l'acqua calda. Scoprì di colpo che tutte le chiacchiere da bar sulle raccomandazioni, sui socialisti a Milano, sui ministri affaristi, su De Mita e l'Irpinia, sulle assegnazioni degli appalti pubblici, sulle strane ricchezze di esponenti politici erano la realtà. Scoprì che quelle insinuazioni che in fondo si sperava non fossero vere, erano nella realtà molto peggio di come ce le si era immaginate. E scoprì che il leader del Psi poteva tranquillamente affermarlo in Parlamento, massima sede di rappresentanza, senza il minimo timore di venire smentito. All'estero i giornali dichiaravano la fine dell'Italia della corruzione e del malaffare.
Allora l'Italia vide in quei giudici una speranza, in tanti si lanciarono in un tifo sfrenato per quel manipolo di togati, che restituivano agli Italiani quella verità che la politica aveva sempre coperto. Se era sistema la Politica avrebbe potuto depenalizzare quei versamenti dalle imprese. Non lo fece ed in questo fu maggiormente colpevole. Nascose perchè nel rendere pubblici quei movimenti di capitale si sarebbe notato che molti non andavano ai partiti ma ai patrimoni personali e talvolta...nei divani...di politici eccellenti. Si sarebbe scoperto che alcune ville di ministri della Sanità erano state pagate con i risparmi sui macchinari di primo soccorso e quindi con le vite di centinaia di persone.
Provarono dei giudici a cambiare le cose. Ci provarono i giudici, da soli, senza il sostegno della Politica che non ebbe il coraggio di ripulire se stessa, che non ebbe il coraggio di escludere dalle proprie fila personaggi condannati per truffa ai danni dello Stato.
Da soli forse commisero degli errori ma la loro opera era quanto di più ottimista l'Italia avesse visto da anni. Induceva all'ottimismo pensare che l'impunità potesse finire, pensare che gli uomini più potenti del Paese affrontassero le proprie responsabilità.
Per chi, come me, in quegli anni tredicenne, si avvicinava alla passione per la cosa pubblica, la figura di giudice era assolutamente esemplare. Sognai di fare il giudice, confermai le mie impressioni quando, nell'estate dello stesso anno, due eroi siciliani persero la vita perché troppo abili nel proprio lavoro.
Poi arrivò Berlusconi che si insediò dicendosi pronto ad appoggiare l'opera moralizzatrice dei giudici milanesi ed offrendo all'uomo simbolo di quelle inchieste, Antonio Di Pietro il Ministero degli Interni. Nei fatti le cose cambiarono quando si scoprì quali erano i precedenti necessari per essere stalliere nella villa di Arcore e quando si intuì di che pasta erano fatta i suoi principali collaboratori, da Previti (oggi condannato per corruzione di giudici e che non fu ministro della Giustizia- avete capito bene, come Dracula a capo dell'AVIS!- solo grazie al veto del Presidente Scalfaro) fino a Dell'Utri (condannato per concorso esterno in associazione mafiosa).
Ma oggi, dopo 15 anni, cosa è cambiato? Il Partito Democratico, futuro partito progressista, battezza se stesso ad Orvieto, dove nelle prime file era seduto De Mita, il governo Prodi annovera tra i propri esponenti Gianni De Michelis, in Parlamento siedono beati Cirino Pomicino e Previti (sì, è ancora lì), la Lega e Alleanza Nazionale che erano con i giudici hanno vissuto le loro prime esperienze di governo proprio in alleanza con il partito di Dell'Utri e dell'imprenditore Berlusconi che tanto deve a Craxi ed infine Andreotti, prescritto per il reato di associazione mafiosa, per poco non è la nostra seconda carica dello Stato!
E quel Di Pietro che fine ha fatto? Non è più giudice, oggi è Ministro. Molti si lamentano del fatto che un pm, dimessosi, diventi politico. Peccato che nessuno si lamenti se altrettanto accade ad avvocati o a concessionari pubblici...mah...chissà che ci sarà di male nell'essere giudici. Ministro dicevamo, proprio di quei lavori pubblici, vera risorsa per le imprese che facevano della corruzione un modo di ottenere appalti. Che quel pm sia lì mi dà fiducia.
Nel frattempo oggi tutti cercano di affermare che la colpa fu sua, che fu forcaiolo, che fu di parte, che per colpa sua vi fu l'affermazione di Forza Italia. Dicono che vi furono pochi capri espiatori, che non indagò in tutte le direzioni e nello stesso tempo che doveva continuare a fare il magistrato. Insomma, l'Italia a quindici anni di distanza, invece di fare i conti con se stessa, li fa con Di Pietro e con quei giudici.
E quel tredicenne, anzi quei tredicenni? Oggi si avvicinano ai trenta e sono tra i pochi ad essere ancora con Di Pietro, con quel pm. Tra i pochi a mantenere la fiducia in quell'uomo e nei suoi sforzi. Sono quel nucleo di idealisti che nel loro piccolo portano avanti quella battaglia di trasparenza nelle proprie realtà. Sono quegli inguaribili ottimisti che trovate in giro per l'Italia con il simbolo del gabbiano. Gli hanno insegnato che non possono essere i giudici a sistemare le cose. Allora provano ad aiutare chi dovrebbe farlo. La Politica.
Marco D'Acri.
Quindici anni fa, era il 17 febbraio 1992, a Milano un pool di giudici arrestò un uomo, Mario Chiesa, che Bettino Craxi definì un mariuolo. Mariuolo, truffatore, approfittatore, comunque uno, solo, battitore libero. Quell'uomo, che guadagnava 2 milioni e mezzo di lire, ne versava tre milioni alla moglie in assegni di mantenimento, qualcosa non quadrava.
Nel tempo quei giudici scrupolosi iniziarono a notare che non era solo Mario Chiesa, ma era pedina di un sistema che aveva reso l'amministrazione socialista del capoluogo lombardo un luogo di affari e di corruzione tra imprese e settore pubblico. Milano in quel momento era specchio dell'Italia alla quale era legatissima da un punto di vista politico. L'Italia con quel processo, con quelle indagini, scoprì l'acqua calda. Scoprì di colpo che tutte le chiacchiere da bar sulle raccomandazioni, sui socialisti a Milano, sui ministri affaristi, su De Mita e l'Irpinia, sulle assegnazioni degli appalti pubblici, sulle strane ricchezze di esponenti politici erano la realtà. Scoprì che quelle insinuazioni che in fondo si sperava non fossero vere, erano nella realtà molto peggio di come ce le si era immaginate. E scoprì che il leader del Psi poteva tranquillamente affermarlo in Parlamento, massima sede di rappresentanza, senza il minimo timore di venire smentito. All'estero i giornali dichiaravano la fine dell'Italia della corruzione e del malaffare.
Allora l'Italia vide in quei giudici una speranza, in tanti si lanciarono in un tifo sfrenato per quel manipolo di togati, che restituivano agli Italiani quella verità che la politica aveva sempre coperto. Se era sistema la Politica avrebbe potuto depenalizzare quei versamenti dalle imprese. Non lo fece ed in questo fu maggiormente colpevole. Nascose perchè nel rendere pubblici quei movimenti di capitale si sarebbe notato che molti non andavano ai partiti ma ai patrimoni personali e talvolta...nei divani...di politici eccellenti. Si sarebbe scoperto che alcune ville di ministri della Sanità erano state pagate con i risparmi sui macchinari di primo soccorso e quindi con le vite di centinaia di persone.
Provarono dei giudici a cambiare le cose. Ci provarono i giudici, da soli, senza il sostegno della Politica che non ebbe il coraggio di ripulire se stessa, che non ebbe il coraggio di escludere dalle proprie fila personaggi condannati per truffa ai danni dello Stato.
Da soli forse commisero degli errori ma la loro opera era quanto di più ottimista l'Italia avesse visto da anni. Induceva all'ottimismo pensare che l'impunità potesse finire, pensare che gli uomini più potenti del Paese affrontassero le proprie responsabilità.
Per chi, come me, in quegli anni tredicenne, si avvicinava alla passione per la cosa pubblica, la figura di giudice era assolutamente esemplare. Sognai di fare il giudice, confermai le mie impressioni quando, nell'estate dello stesso anno, due eroi siciliani persero la vita perché troppo abili nel proprio lavoro.
Poi arrivò Berlusconi che si insediò dicendosi pronto ad appoggiare l'opera moralizzatrice dei giudici milanesi ed offrendo all'uomo simbolo di quelle inchieste, Antonio Di Pietro il Ministero degli Interni. Nei fatti le cose cambiarono quando si scoprì quali erano i precedenti necessari per essere stalliere nella villa di Arcore e quando si intuì di che pasta erano fatta i suoi principali collaboratori, da Previti (oggi condannato per corruzione di giudici e che non fu ministro della Giustizia- avete capito bene, come Dracula a capo dell'AVIS!- solo grazie al veto del Presidente Scalfaro) fino a Dell'Utri (condannato per concorso esterno in associazione mafiosa).
Ma oggi, dopo 15 anni, cosa è cambiato? Il Partito Democratico, futuro partito progressista, battezza se stesso ad Orvieto, dove nelle prime file era seduto De Mita, il governo Prodi annovera tra i propri esponenti Gianni De Michelis, in Parlamento siedono beati Cirino Pomicino e Previti (sì, è ancora lì), la Lega e Alleanza Nazionale che erano con i giudici hanno vissuto le loro prime esperienze di governo proprio in alleanza con il partito di Dell'Utri e dell'imprenditore Berlusconi che tanto deve a Craxi ed infine Andreotti, prescritto per il reato di associazione mafiosa, per poco non è la nostra seconda carica dello Stato!
E quel Di Pietro che fine ha fatto? Non è più giudice, oggi è Ministro. Molti si lamentano del fatto che un pm, dimessosi, diventi politico. Peccato che nessuno si lamenti se altrettanto accade ad avvocati o a concessionari pubblici...mah...chissà che ci sarà di male nell'essere giudici. Ministro dicevamo, proprio di quei lavori pubblici, vera risorsa per le imprese che facevano della corruzione un modo di ottenere appalti. Che quel pm sia lì mi dà fiducia.
Nel frattempo oggi tutti cercano di affermare che la colpa fu sua, che fu forcaiolo, che fu di parte, che per colpa sua vi fu l'affermazione di Forza Italia. Dicono che vi furono pochi capri espiatori, che non indagò in tutte le direzioni e nello stesso tempo che doveva continuare a fare il magistrato. Insomma, l'Italia a quindici anni di distanza, invece di fare i conti con se stessa, li fa con Di Pietro e con quei giudici.
E quel tredicenne, anzi quei tredicenni? Oggi si avvicinano ai trenta e sono tra i pochi ad essere ancora con Di Pietro, con quel pm. Tra i pochi a mantenere la fiducia in quell'uomo e nei suoi sforzi. Sono quel nucleo di idealisti che nel loro piccolo portano avanti quella battaglia di trasparenza nelle proprie realtà. Sono quegli inguaribili ottimisti che trovate in giro per l'Italia con il simbolo del gabbiano. Gli hanno insegnato che non possono essere i giudici a sistemare le cose. Allora provano ad aiutare chi dovrebbe farlo. La Politica.
Marco D'Acri.
1 Comments:
Mi definisco un nostalgico di mani pulite.
C'era la sensazione che qualcosa poteva cambiare.
Era lotta tra il potere arrogate e illegale, politici e faccendieri, e i sostenitori della legalità, cittadini e magistrati.
Non li dimenticherò mai.
Quegli anni rimarranno dentro il mio cuore.
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