Rapporto sull'Iraq
Marco D'Acri
Il rapporto del repubblicano James Baker e del democratico Lee Hamilton ha offerto alcuni suggerimenti all'amministrazione Bush sulla guerra in Iraq. Il dato politico è che i due esperti designati allo studio del caso dai due partiti statunitensi hanno raggiunto una posizione comune. Interessante l'istituto della Commissione congiunta, soprattutto quando raggiunge verdetti condivisi (a differenza delle Commissioni parlamentari di cui il senatore De Gregorio è a conoscenza). Quale il responso? Innanzitutto un'ammissione implicita dello Stato di quasi guerra civile. Primo consiglio è stato infatti quello di prevedere la costituzione di due Stati a maggioranze diverse, un territorio sciita ed uno sunnita. In pratica viene negata, anche formalmente, quella affermazione pre-intervento di un popolo iracheno, unito nella voglia di liberarsi del dittatore Saddam e pronto ad accogliere i liberatori a stelle e strisce. Il popolo iracheno non è così unito e non averlo previsto nei piani di attacco è stata una follia. Secondo, e più importante, suggerimento quello di rivolgersi a Siria ed Iran per la soluzione del conflitto. Aprire una politica di cooperazione politica, ammettendo che dopo il crollo del sistema bipolare, l'equilibrio internazionale non può essere retto in ogni area del globo da un'unica potenza che si sta dimostrando incapace di vincere conflitti in contesti che non le sono favorevoli. Ma qui nasce un problema enorme. Come ammettere di aver bisogno dell'aiuto di quelli che fino ad ieri, anzi fino ad oggi, sono stati definiti Stati canaglia e maggiori sostenitori del terrorismo internazionale? Come rivolgersi ad Ahmadinejad chiedendo cooperazione politica e militare? Non è possibile. Ed infatti Bush e la Rice si sono immediatamente dichiarati insoddisfatti del rapporto, definendolo un tentativo dei repubblicani di creare un ponte provvisorio con i democratici, ora in maggioranza al Congresso. Senza quindi discuterlo nel merito. Ad oggi sembra impossibile che Bush abbia il carisma di imporre una nuova dottrina che ammetta gli errori di questi anni. Probabilmente attenderà il termine del mandato senza operare particolari cambi di rotta. E senza preoccuparsi delle centinaia di giovani vite americane stroncate a migliaia di chilometri da casa. Agli Stati Uniti servirà la figura di un Presidente di alto profilo politico, in grado di proporre nuove linee guida alle relazioni internazionali. E servirà all'intera comunità internazionale. Bush è stato il Presidente dell'11 Settembre. La sua risposta, a 5 anni dall'evento si è rivelata errata. Si è comportato come Nixon, con un tale bisogno di nemici da arrivare a costruirseli. Non dimentichiamoci che prima dell'Iraq Ahmadinejad era solo il sindaco di Teheran. Il nuovo clima ai confini ha contribuito a rendergli il seggio presidenziale e a zittire i movimenti studenteschi che fino a quel giorno erano stati la grande speranza dell'Iran e dell'intera area. La storia giudicherà Bush ma credo che l'introduzione alla sua biografia politica siamo già in grado di intuirla.
Marco D'Acri.
Marco D'Acri.
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