22.1.07

Dal Cermis a Vicenza

Marco D'Acri
Le proteste per l'allargamento della base NATO di Vicenza sono state bollate dai più come espressione di un antiamericanismo di cui la sinistra viene addidata come portatrice. Ma visto che degli slogan non mi fido poi così tanto ho deciso che antiamericanismo non è una critica nei contenuti e quindi è una spiegazione che non mi soddisfa. Apriamo quindi il nostro sguardo in un'ottica temporale più larga e leggiamo la nostra storia recente. Ritorno ad una data terribile per l'Italia, il 3 febbraio 1998. Quel giorno, alle ore 14.13, un aereo militare statunitense partito dalla base militare di Aviano, tranciò il cavo della funivia del Cermis, in Val di Fiemme. Il bilancio fu di 20 morti. In virtù di una Convenzione Nato il foro competente a giudicare l'omicidio colposo fu il tribunale militare statunitense. La Corte accertò che l'aereo volava ad un'altitudine inferiore al consentito e che i militari sotto accusa avevano distrutto il videotape che registrava l'esercitazione per eliminare ogni prova. La giuria assolse Ashby per la prima accusa, perchè ritenne possibile, sebbene non provato, il malfunzionamento dell'altimetro ma lo condannò per la seconda. Il capitano venne degradato, rimosso dal servizio e condannato a sei mesi di detenzione. Inutile dire che il pilota non fu processato in Italia e la sentenza provocò l'indignazione dell'opinione pubblica italiana.
Parlare del rapporto Italia-USA vuol dire anche parlare di quel caso e della sua ferita ancora aperta. Vuol dire parlare di convenzioni che riguardavano la guerra fredda e che dovremmo essere in grado di superare. Allarghiamo pure la base di Vicenza, ma non bolliamo le proteste come antiamericanismo senza capirne le cause. Ridiscutiamo le regole che disciplinano le basi USA in Italia e il soggiorno dei soldati americani, apriamo un serio confronto sul significato delle basi USA-NATO in Europa e sulle loro funzioni, facciamo in modo che il governo USA, rispettando il voto italiano, riceva il nostro Presidente del Consiglio al più presto, anche se non si chiama più Silvio. Sarebbe un bel segnale e ci aiuterebbe ad uscire dalla retorica classica del l'anti e del filo.
Marco D'Acri