17.11.06

Ricordo di Milton Friedman

" I governi non imparano mai. Solo le persone imparano". Milton Friedman.

Marco D'Acri
Con la morte di Milton Friedman, padre della teoria monetarista, "Chicago boy" e premio Nobel dell'Economia, scompare uno dei più importanti e controversi economisti del Novecento. Consigliere ideale delle politiche liberiste degli anni '80 e delle rigorose politiche monetarie della Federal Reserve dalla fine degli anni '70, ha avuto il merito di riportare l'accento sui concetti di libera scelta dell'individuo e di meritocrazia. La sua strenua difesa delle regole chiare e stabili nel tempo, rispetto ai continui scossoni di politiche a breve termine e incoerenti nel lungo, ha certamente contribuito a quel clima che in Europa ha influenzato le regole e la politica della Banca Centrale Europea. Anche chi (come me) non condivide in toto la sua ricetta di privatizzazione in ogni campo, financo quello dei servizi sociali, non può non essere d'accordo con il suo limite all'intervento dello Stato, accentratore inefficiente per molti campi della sua azione. Lui, nato da una famiglia povera di Brooklyn, testimone della meritocrazia, ha sempre affermato che un sistema pubblico invadente, invece di equiparare, consente ai soli ricchi di potersi permettere un doppio pagamento per lo stesso servizio, rivolgendosi anche alle strutture private. Dallo stesso principio si muoveva per dire che è necessario prevedere le stesse opportunità per tutti piuttosto che imporre un unico modello. C'è chi ha utilizzato il suo pensiero per giustificare interventi militari di "esportazione del capitalismo" in Sudamerica, chi ancora lo ha descritto come un assassino delle protezioni sociali. In fondo è stato un pensatore, un teorico ed è triste destino dei teorici essere fraintesi ed interpretati per i più vari scopi. Uno degli aforismi che di lui si ricordano è che il capitalismo è una condizione necessaria per la libertà politica, ma certo non sufficiente. E questo dà risposta a chi lo considera proprio padre del pensiero ma non rispetta le regole di un'economia libera e di concorrenza. Da noi il suo pensiero non è stato discusso più di tanto. In uno spazio politico diviso tra cultura cattolica e pensiero marxista, il pensiero di un grande liberale, talvolta estremo, talvolta provocatorio, non ha avuto successo, neanche a livello di riflessione. In fondo colui che chiedeva uno Stato come rigoroso definitore di regole essenziali ma perentorie, non avrebbe potuto che sorridere di fronte ai nostri condoni, alle nostre corporazioni invincibili, alle baronie tutte italiane, alle nostre scalate bancarie, ai rapporti tra banchieri e governatori centrali e alle sovrapposizioni tra politica ed economia. E credo avrebbe sospirato di fronte allo scarso coraggio di scelte di lungo termine che il nostro Paese sembra non aver mai voglia di fare. In questo il suo pensiero andrebbe riletto e avrebbe ancora molto da insegnarci. In questi giorni riaprirò qualche suo libro. Su molte cose sarò ancora in disaccordo ma i suoi stimoli non possono che far bene.
Marco D'Acri.