Il fantomatico valore politico dell'Italia all'estero
Il 25.03.06 su repubblica.it è apparso un articolo molto interessante di Andrea Bonanni, che però è passato inosservato. Colgo quindi l'occasione per riproporlo, tentando di farlo conoscere a sempre più persone.
HA PROVATO a mettersi a capo di un "pronunciamento" dei governi liberisti contro la Francia. Ma ha dovuto ritirare la lettera già preparata perché nessun leader europeo, pur d'accordo sui contenuti, vuole mettere la propria firma accanto alla sua. Ha cercato di manipolare il risultato del vertice come se fosse stato un plebiscito a favore del nucleare. Con il solo scopo di mettere in imbarazzo l'opposizione. Ma è stato seccamente smentito dal presidente di turno, l'austriaco Schuessel, e perfino dal presidente della Commissione, il suo "amico" Barroso.
Così, dopo aver chiesto a gran voce che il summit dei capi di stato e di governo si concentrasse sulla sua campagna anti-protezionista, Silvio Berlusconi ha lasciato Bruxelles senza aver preso neppure una volta la parola nel corso del dibattito tra i leader, senza replicare a Chirac che difendeva l'arroccamento francese su Suez, senza neppure fare una conferenza stampa per ribadire almeno davanti all'opinione pubblica europea le buone ragioni dell'Italia.
In questo modo ha lasciato campo libero allo "show" finale del presidente francese che si è atteggiato a trionfatore del vertice e si è perfino permesso di insultarlo indirettamente parlando di "osservatori superficiali e malintenzionati", di leader "che avrebbero bisogno di andare a scuola" e di "venditori ambulanti". Il bilancio politico e di immagine dell'ultimo vertice europeo di questo governo non avrebbe potuto essere più disastroso.
La delegazione italiana ha abbandonato ieri Bruxelles alla chetichella, lasciando cadere qua e là dichiarazioni velenose sul conto di Prodi e della coalizione di centrosinistra ma evitando di parlare dei temi in discussione al vertice. Deciso a non incontrare i giornalisti in una sede internazionale, il capo del governo ha di fatto obbligato anche Fini e Tremonti che lo accompagnavano a rinunciare alla conferenza stampa.
La linea ufficiale del governo italiano è che del caso Enel-Suez ormai se ne dovranno occupare la Commissione europea e il prossimo Ecofin: d'altro canto, era stato lo stesso Tremonti - nelle sue recenti missioni a Bruxelles - a chiedere e ad ottenere dall'esecutivo comunitario di far rispettare le regole della concorrenza, non tanto per una semplice questione economica ma soprattutto per la salvaguardia stessa dell'Unione. "La vicenda è in mano alla Commissione. Io non ho più nulla da dire, a meno che non vogliate che dichiari guerra alla Francia...", ha chiosato Berlusconi esternando davanti ad un gruppetto di giornalisti che lo aspettavano all'entrata.
Può anche darsi che questa si riveli alla fine una linea vincente per quanto riguarda le sorti dell'Opa, più volte annunciata ma mai lanciata, della compagnia elettrica italiana sulla società francese. Ma era stato proprio l'attivismo del governo Berlusconi sul piano europeo a trasformare il vertice in una sfida politica tra i sostenitori del "patriottismo economico" e i fautori del liberismo e del mercato, a capo dei quali il Cavaliere si era iscritto d'ufficio.
Da questo punto di vista, la delegazione italiana ieri ha abbandonato il ring senza neppure aver provato a combattere, lasciando il palcoscenico a Chirac. E il presidente francese, per quanto isolato e certamente in difficoltà sul piano interno, alla fine ha potuto atteggiarsi a trionfatore permettendosi addirittura di sbeffeggiare l'avversario.
Il paradosso di questa situazione è che non solo l'Italia aveva ottime ragioni per far valere il proprio punto di vista, non solo si trovava, per una volta, a difendere l'ortodossia delle regole comunitarie e del mercato interno contro l'arroganza nazionalista dei francesi, ma addirittura poteva in teoria contare sul consenso di un'ampia maggioranza di governi. E proprio il fatto che Berlusconi sia riuscito a figurare come sconfitto in una battaglia che in teoria avrebbe dovuto essere vinta in partenza offre tutta la misura dell'isolamento e dell'impopolarità che il suo governo è riuscito a guadagnarsi in Europa.
Dopo tante battaglie sbagliate, questa in difesa del mercato unico era finalmente una battaglia giusta. Per una volta che non sostenevamo il diritto dei produttori di latte a violare le quote, non cercavamo di affossare il Patto di Stabilità o non chiedevamo di bloccare un provvedimento popolare quale il mandato di arresto europeo, avremmo potuto uscire da Bruxelles come i campioni di una campagna sacrosanta e vincente. Ma in Europa non basta avere ragione: occorre anche avere il prestigio e le capacità necessari per farla valere. Ed è proprio quello che manca drammaticamente al governo uscente.
Al danno, poi, il premier è riuscito ad aggiungere la beffa. Visto che non riusciva a sollevare la questione del protezionismo rampante, ha pensato bene di utilizzare il vertice a fini elettorali facendolo passare come un plebiscito in favore del nucleare, nella speranza di mettere in difficoltà l'opposizione. "La scelta del nucleare è indispensabile - ha spiegato rientrando giovedì sera in albergo al termine della prima giornata di lavori - e questa è stata la considerazione finale di tutti i Paesi membri". Ma la smentita è arrivata fulminea da parte del presidente del Consiglio europeo, il premier austriaco Wolfgang Schuessel: "Non si è parlato di scelta del nucleare, come non si è parlato di gas o di carbone. Si è solo concordato che il mix energetico resta di competenza esclusiva dei singoli stati membri".
E il presidente della Commissione, Joao Barroso, incontrando ieri mattina un gruppo di giornalisti, ha rincarato la dose: "Berlusconi non è mai intervenuto. E' vero che alcuni governi guardano al nucleare di quarta generazione, ma non direi affatto che c'è consenso perché molti restano fermamente contrari. La conclusione è che in questo campo vige il principio di sussidiarietà: ognuno fa le scelte che preferisce".
Coordinatore GIV Piemonte
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